Le imbarcazioni della nostra Flotta, tipiche della Laguna Veneta, hanno alcune caratteristiche in comune:

  • Fondo piatto: per poter navigare su fondali anche molto bassi. Si riesce a vogare con 30 cm di acqua o anche meno, “parando” cioè utilizzando il remo come una pertica per spingere la barca.
  • Forcole con morso aperto: per poter agevolmente togliere il remo dallo scalmo ed effettuare le manovre (paràr, siàr, tirar acqua, darghe xò).
  • Remi “specializzati”: appositamente lavorati per consentire di vogare anche mantenendolo sotto l’acqua (voga a un remo) e distinti per i due lati della barca (banda prua a sinistra, banda poppa a destra).

Desideriamo ora darvi alcune informazioni sulle imbarcazioni della Laguna Veneta presenti nella nostra flotta e non, con alcuni riferimenti e cenni storici.

MASCARETA

Tra i vari tipi di sandoli, la mascareta è oggi sicuramente quello più diffuso in tutta la laguna di Venezia. Tale primato è dovuto sia alle sue doti di leggerezza e di manovrabilità sia, alla sua essenzialità costruttiva, che da come risultato un costo realizzativo più contenuto rispetto a quello delle altre tipologie di sandoli.
Tipicamente vogata a due remi od ad un remo, la sua lunghezza varia dai sei agli otto metri circa.
Leggenda vuole che il suo nome derivi dal frequente uso che ne facevano le prostitute mascherate.
Oggi viene utilizzata anche nelle regate e nelle competizioni di voga al femminile e giovanile“


SANDOLO

Con il termine sandolo non ci si riferisce tanto ad una imbarcazione specifica, quanto ad un’intera tipologia, una vera e propria grande “famiglia”, le cui caratteristiche dei suoi appartenenti variano in base agli scopi per i quali venivano costruiti.
Non si conosce con esattezza l’etimologia da cui proviene il suo nome, anche se possiamo supporre, con sufficiente certezza, che possa derivare dal termine latino sandalium ossia sandalo; tipo di scarpa semplice e piatta come il fondo di questa semplice ed antica imbarcazione, il cui nome appare nei documenti d’epoca fin dal 1292.


PUPARIN

Componente della numerosa categoria dei sandoli, il puparìn ne è sicuramente il rappresentante più raffinato; esso trae il proprio nome dall’accentuata curvatura della poppa verso l’alto, che risulta essere notevolmente più alta rispetto alla prua.

È un’imbarcazione veloce abitualmente vogata da 1 o 2 persone, di lunghezza variabile tra i 9 e i 10 metri ed una larghezza di circa 1 metro e 20 centimetri.
Il suo profilo sottile e affilato, oltre allo slancio audace della prua e della poppa, fanno del pupparin una delle imbarcazioni tecnicamente più perfette, e testimonia l’eccezionale grado di perfezione raggiunta nei secoli dai maestri d’ascia veneziani.
Nato inizialmente per la sorveglianza marittima, negli anni – grazie alla sua elegante forma ed al fatto che può essere agevolmente vogato ad un remo – ha acquisito, al pari della gondola, lo status di “barca da casada”, termine con il quale s’indicavano le imbarcazioni che venivano utilizzate dalle famiglie patrizie veneziane per i loro spostamenti.
Altra caratteristica peculiare del puparìn è l’asimmetria del suo scafo che lo fa essere, oltre alla gondola, l’unica attuale imbarcazione veneziana ad avere una tale architettura strutturale.
Dalla metà del ‘900, grazie alle sue specificità, viene prevalentemente utilizzato per la pratica sportiva, e dal 1976 i pupparini sono le imbarcazioni utilizzate dai giovanissimi nella Regata Storica della loro categoria. La sua eleganza lo fa anche molto apprezzare per l’uso diportistico.


CAORLINA

Imbarcazione dalla storia antica, elegante nella sua semplicità, la caorlina conserva inalterate a tutt’oggi le sue peculiarità costruttive originali che possiamo ammirare già nelle stampe del XVI secolo.
Lunga dai nove metri e mezzo ai dieci metri, essa si distingue per la prua e la poppa di uguale forma.
Barca da lavoro per eccellenza, vogata da uno fino a sei rematori, spesso veniva anche armata con timone e vela al terzo.
Maneggevole e con una spiccata capacità di carico (dai 30 ai 60 quintali), nelle sue varie varianti costruttive era adibita alla pesca lagunare (“Caorlina da Seragia” o “Barca da Cogoleti”), al trasporto di frutta e verdura dalle isole ai mercati cittadini (“Caorlina da frutarioli”) al trasporto di materiali inerti (“Caorlina da Mureri”).
L’etimologia del suo nome fa supporre, forse in modo banale, che tale imbarcazione trovi le proprie origini nella città di Caorle.


GONDOLA

Da sempre l’emblema della città di Venezia, la cui forma attuale è il frutto di una plurisecolare evoluzione. Essa rappresenta la massima perfezione tecnica raggiunta, nei secoli, dai Maestri d’Ascia veneziani.
Il termine Gondola viene citato per la prima volta in un decreto del Doge Vitale Falier datato 1094. Si ipotizza che sia la discendente diretta dell’antica “Scaula”, un’imbarcazione molte volte citata negli Atti della Repubblica Serenissima tra il 900 ed il 1300, allora di uso molto comune ed adibita al trasporto di cose o persone.
I primi esemplari di Gondola erano ben diversi dal natante che siamo abituati a vedere oggi giorno navigare per i canali veneziani. La versione primordiale della Gondola era simmetrica, più larga e più corta dell’attuale, con gli slanci di prua e di poppa molto meno accentuati di quelli odierni, e con le estremità ornate non con i consueti ferri, bensì con semplici lame, che poi divennero via via sempre più arcuate e importanti.
La vera evoluzione costruttiva ed estetica di questo straordinario natante ebbe inizio verso la fine del 1400 quando, gli squerarioli veneziani incominciarono a modificarne la struttura per renderla maggiormente adatta alla morfologia del tessuto urbano degli stretti canali veneziani, allungandone lo scafo e restringendo la porzione immersa nell’acqua (mediante il rialzo della poppa e della prua) allo scopo di facilitare la voga e renderla maggiormente agile.
Col passare dei secoli, la Gondola venne sempre più assunta a simbolo di potenza e di distinzione sociale tra le classi agiate ed il popolo. Proprio allo scopo di dimostrare la propria opulenza, ed affermare il proprio prestigio, le famiglie patrizie veneziane iniziarono a decorare in modo sempre più sfarzoso la propria imbarcazione “de casada”.
E proprio per mettere freno a tale deriva che la Repubblica Veneziana, gradualmente impose con molteplici disposizioni suntuarie dei “Provveditori alle Pompe”, di porre fine a tale sfarzo, condannando la Gondola ad una povertà quasi francescana ed all’odierna colorazione nera. Risultano, dunque, totalmente infondate le varie fantasiose ipotesi che attribuiscono tale colorazione ad un voto fatto per difendere la città da una qualsivoglia pestilenza, o in segno di lutto per la caduta della Serenissima Repubblica.
Per comprendere quale importanza ricoprisse tale natante nella vita veneziana di allora, basti pensare che nel 1600 le Gondole circolanti a Venezia erano al’incirca 10.000, valore sceso (si fa per dire) nel 1760 a 1.472 unità censite. Ma è nel 1800 che la gondola assume le attuali caratteristiche fisionomiche, soprattutto grazie all’opera degli squerarioli di origine cadorina\zoldana (i Casal, i Fassi ed i Tramontin) che con sagacia, maestria e passione hanno, nel corso degli anni e delle generazioni, apportato alla sua struttura alcune essenziali modifiche (ad esempio accentuando a livelli ottimali l’asimmetria dello scafo) che la rendono oggi un esempio di scienza navale ed un capolavoro di estetica.


GONDOLINO

Barca velocissima e molto tecnica nata e usata esclusivamente per la Regata Storica fece la sua prima apparizione nel 1825.
La forma del gondolino deriva da quella della gondola e in particolare dalla “gondola da fresco” usata anticamente per i “Freschi” in Canal Grande e in laguna, molto più snella e filante della gondola normale della quale si conserva l’unico esemplare esistente nella sede dell’associazione Arzanà.
A differenza della gondola, la sua forma si è evoluta bassa, stesa e simmetrica per sfruttare al massimo l’acqua piatta del campo di gara.
Da barca sensibilissima, mette in grande risalto l’affiatamento dei vogatori e la qualità tecnica della vogata. E’ considerata la Formula 1 delle barche lagunari e principale attrattiva della Regata Storica, nella quale si decide i veri campioni del remo.


S’CIOPON

Lo S’ciopon è un particolare tipo di sandolo, che veniva utilizzato dai cacciatori, per la pratica di un autoctono tipo di caccia effettuata nella laguna di Venezia.
Trae il proprio nome dalla grande spingarda, denominata appunto “s-ciopon”, lunga circa tre metri, con un calibro di oltre 70 mm. ed un peso vicino agli 80 Kg., la cui parte posteriore veniva collocata sul “trasto” dell’imbarcazione, mentre la canna era adagiata sulla coperta di prua. Il basso e rettilineo bordo di questo sandolo, e la quasi inesistente insellatura della prua, permetteva ai cacciatori di esplodere il colpo a pelo d’acqua. Il potente sparo, che causava un rinculo del natante di svariati metri, provocava uno sciame di pallini che non lasciava scampo alla selvaggina.
Fino alla metà del 1900, l’attività venatoria, grazie all’abbondante numero di specie che nei mesi invernali transitano in laguna, rappresentava per molte famiglie residenti nel bacino lagunare, una fonte di sostentamento nonché di guadagno, e la caccia con lo s-ciopon risultava essere tra le più redditizie.
Vietata nella laguna di Venezia dalla fine degli anni ’70, oggi a ricordarci di questo particolare stile di caccia non ci rimane che questa tipologia di sandolo.


VIPERA

La vipera era un’imbarcazione tipica della Laguna di Venezia, non più in uso.
La sua forma era simile a quella del sandolo ma era caratterizzata dalla perfetta simmetria di prua e poppa, terminanti entrambe con piccole aste metalliche. Possedeva due prore, nel senso che era sufficiente girare i remi negli appositi scalmi per andare nella direzione opposta, senza dover girare la barca.
Lunga, snella e molto leggera, spinta da sei rematori in posizione di voga alla veneta, era caratterizzata da particolari doti di maneggevolezza e velocità e per questo motivo veniva impiegata anche dai contrabbandieri.
La produzione di questo tipo di imbarcazione terminò agli inizi del Novecento e ne sono sopravvissuti solo pochi esemplari.


SANPIEROTA

Con questo nome si indica a Venezia l’imbarcazione più comune e numerosa.

Nata nella seconda metà del secolo scorso per la piccola pesca lagunare, la sua popolarità è dovuta a due motivi: le sue caratteristiche di robustezza, sicurezza e spazio, ed alla sua semplicità di manutenzione che la rendono ideale per il piccolo diporto famigliare.

Il suo nome deriva dalla località d’origine, San Pietro in Volta, un piccolo borgo dell’isola litorale di Pellestrina. Usata per la pesca dentro e fuori della laguna, la sanpierota (a S. Pietro chiamata semplicemente sandolo), può essere attrezzata con una o due vele al terzo.

Le sue misure variano da 6 a 6,60 metri di lunghezza, l’asta è slanciata e termina, negli esemplari tradizionali, con una caratteristica concavità nella parte superiore, simile al gambo di una banana. Lo specchio è quasi verticale e piuttosto stretto; la coperta di prua, ampia e con molto bolzone serve sia per riporvi le reti, sia per riparare un uomo dal maltempo. I fianchi sono svasati ma senza curvatura.

Comunemente viene condotta vogando alla valesana.


BATELA

La batèla ha rappresentato la categoria di imbarcazioni più diffusa in città, fino alla metà del Novecento.

Le testimonianze fotografiche della seconda metà del XIX secolo ci mostrano due sostanziali tipologie costruttive di quest’imbarcazione: una versione semplificata con la poppa “a specchio” come i sandoli, detta batèla buranela (nel primo disegno), ed una con la poppa alta e munita di asta, detta in tempi monderni batèla a coa de gambaro che era il modello maggiormente diffuso a Venezia (nel secondo disegno).

Questa barca presenta una struttura e una forma che consentiva svariati utilizzi nell’ambito delle imbarcazioni da carico e da lavoro, e per questo motivo era costruita con un’ampia variabilità di misure: ci sono testimonianze fotografiche di batelìni da sei metri e di grosse costruzioni grandi almeno il doppio, e anche a questa versatilità si deve la sua grande diffusione in città.

Le misure medio-piccole venivano costruite ad un solo trasto (escludendo quelli delle coperte di prua e poppa) e le costruzioni più grandi ne avevano invece due; nel primo caso la posizione del trasto era quella standard delle barche venete, cioè nel terzo posteriore, mentre quando ne erano presenti due essi erano disposti per lasciare libero un ampio spazio di carico centrale, e il secondo vogatore prendeva posto davanti al trasto prodiero (analogamente alle odierne barchéte da traghéto).


PEATA

La peata è da sempre la vera barca da carico della laguna di Venezia, e la sua struttura è rimasta inalterata nel tempo.
Nella sua capace stiva ha trasportato, per secoli, tutto ciò che necessitava per la costruzione e l’esistenza della città e del suo estuario.
Per svolgere a pieno questo suo importante compito, la peata aveva una struttura (fondo piatto, fianchi arrotondati, corpo centrale parallelo per più di metà della sua lunghezza oltre alla piatta prua e alla poppa senza slanci) che gli permetteva di sfruttare al massimo il volume destinato al carico, sempre però necessariamente entro i limiti di un pescaggio limitato, visti i bassi fondali lagunari che doveva affrontare.

Di norma, questo pesante ed impegnativo natante, era sospinto da solo due vogatori posizionati il primo sulla coperta di poppa (il quale aveva anche il compito di direzionare l’imbarcazione spostando con il piede l’asta del timone), ed il secondo su quella di prora. Gli eventuali vogatori intermedi, sempre posizionati sulla sua coperta, appoggiavano i lunghi remi su un particolare tipo di scalmo di legno basso e incàvo denominato “vogarisso”. Spesso, quando la larghezza del rio non permetteva di vogare, il “peater” la spingeva puntando il lungo remo sul fondo del canale, facendola avanzare camminando lentamente da prua a poppa, e ripetendo tale manovra per decine di volte.
Oggi questa antica imbarcazione è del tutto scomparsa, soppiantata da grandi ed anonime imbarcazioni in vetroresina munite di potenti motori.
L‘ultima, di cui abbiamo memoria, è stata costruita nel cantiere di Burano del maestro d’ascia Agostino Amadi agli inizi degli anni 70 dello scorso secolo.